di Chiara Stinghi
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Genesi e (assenza di) tradizione
Fino alla metà del Settecento
le donne scrivono prevalentemente per loro stesse, di nascosto,
privatamente, e solo alla fine dell'Ottocento escono allo scoperto imponendosi
nel mercato editoriale.
Dopo secoli di esclusione, la donna inizia il suo percorso di
conquista di un piccolo, ma determinante spazio nella letteratura. Questo
tipo di carriera, non ancora normalizzata per una donna, porta la scrittrice
che vuole affermarsi a trasgredire alle regole della società ed
alla tradizione. Le scrittici, infatti, sono costrette a combattere
contro censure e pregiudizi, conseguenze di un passato che discriminava
il sesso femminile, escludendolo da ogni forma di partecipazione sociale
e collettiva. Questa antica esclusione ha determinato comportamenti sociali,
subordinazione all'uomo ed anche abitudini linguistiche e letterarie.
Il "punto di vista femminile" costituisce
un settore preciso nel vasto mondo della letteratura, interessante in
quanto qualificabile autonomamente. La donna scrittrice è lontana
dalla cultura e dal sapere ufficiale: la condizione stessa di appartenenza
al sesso femminile incide sulla sua produzione, proprio come l'educazione
e l'istruzione.
L'educazione femminile ottocentesca è approssimativa, utilitaristica
e generalmente molto breve. Nella migliore delle ipotesi le bambine frequentano
la scuola fino a dodici, tredici anni, ma nella maggior parte dei casi
le fanciulle raggiungono un livello minimo di scolarità, che non
assicura loro neppure il possesso stabile degli strumenti più elementari
per leggere, scrivere e far di conto.
Secondo la concezione maschilista diffusa, le donne non necessitano
un'istruzione come gli uomini poiché i loro compiti si
limitano al governo dei figli e alla cura della famiglia e della casa.
Questo incerto tipo di studi accomuna la maggior parte delle donne di
fine ottocento e tra queste numerose future scrittrici come Neera, Sibilla
Aleramo, Grazia Deledda, Ada Negri, Marchesa Colombi, Anna Franchi.
Per queste giovani donne che intraprendono la strada della letteratura,
il rapporto con la scuola è quindi deludente, insoddisfacente,
ma difficilmente lamentano carenze di formazione, piuttosto lavorano da
sole per superarle. Come donne di cultura, insoddisfatte del sapere offerto
loro dalla scuola, queste figure cercano di colmare questi vuoti attraverso
la lettura: una lettura individuale e casalinga, spesso furtiva e colpevole.
Appassionate lettrici si immergono in romanzi, novelle, riviste e in queste
letture disordinate vi proiettano emozioni invano cercate e la loro fantasia
vi trova appagamento.
Riconosciuta la propria vocazione artistica, queste scrittrici affermano
di essere diverse dalle altre ragazze, perché capaci di contare
su di sé, di avere una sensibilità fuori dal comune. La
scrittura diventa così capacità di osservazione ed analisi,
strettamente legata alla solitudine, al privato. Attraverso la
propria esperienza personale cercano di colmare i vuoti di una mancata
formazione classica ed approfondita, riversando nelle loro pagine
le emozioni personali, la propria vita.
Come per le donne che scrivevano durante i secoli del silenzio femminile,
al centro della narrazione restano la sfera domestica e l'esperienza personale.
La scrittura è, quindi, espressione spontanea, immediata ed allo
stesso tempo rappresentazione del proprio io, narrazione privata. La penna
sembra seguire un desiderio incontrollabile di parlare, denunciare, esprimersi,
un desiderio irrefrenabile che va oltre la volontà ed i propositi
della scrittrice.
Gli studi critici contemporanei sulla
scrittura femminile hanno individuato in questo genere una serie di forme
letterarie ricorrenti, facilmente praticabili e quasi completamente
prive di tradizione: l'autobiografia, le lettere ed i diari.
In tutte queste forme di scrittura ci sono rimandi continui agli ambienti
e alle esperienze cardine dell'esistenza femminile: il mondo domestico,
la casa, la famiglia, l'esperienza intima, la solitudine. Questi stessi
temi sono anche le motivazioni che portano la donna a praticare la letteratura.
L'autobiografia, come genere, è l'espressione della soggettività,
è collegata alla memoria e ci riporta le esperienze dell'autore
attraverso il suo stesso punto di vista. Tuttavia questo recupero del
passato è del tutto personale e selettivo e può subire,
secondo la volontà di chi scrive, una rielaborazione o un'idealizzazione.
Questo genere letterario fa quindi riferimento all'esperienza vissuta
e all'individualità della volontà di narrazione.
La scrittura femminile è caratterizzata da numerosi testi autobiografici
che hanno come motivazione di partenza il desiderio di tracciare un bilancio
della propria esistenza e di affermare la propria immagine attraverso
la scrittura, come tutela di un'io socialmente minacciato. L'importanza
della propria storia personale si traduce nel dato autobiografico raccontato
con toni smorzati, cronachistici, generalmente tesi a mostrare le cose
come sono, senza abbellirle o idealizzarle.
Luogo della memoria, ma non argomento solo individuale, bensì ricostruzione
di ambienti, di vicende storiche e documento sulla questione femminile.
Importanti opere autobiografiche sono state scritte tra la fine dell'Ottocento
ed i primi decenni del Novecento, per citarne solo alcune tra le più
celebri possiamo ricordare "Una donna" di Sibilla Aleramo del
1906, "Stella Mattutina" di Ada Negri del 1921 e del 1937 "Cosima"
di Grazia Deledda.
Tra le centinaia di pagine scritte da donne all'inizio del XX° secolo
troviamo molti diari e molte lettere. In entrambe queste forme letterarie,
come per l'autobiografia, il protagonista assoluto è l'io, è
il soggetto che scrive. Le donne riversano nei diari e nella corrispondenza,
generalmente con altre donne, tutti i loro pensieri segreti, le idee che
non possono essere espresse in pubblico da voce di donna, sono
il luogo delle confidenze.
Scrittrici idealmente simili, le cui opere hanno caratteristiche comuni
ed altre del tutto individuali. Generalizzando, possiamo dire che quelle
donne che scrivono sono una voce letteraria singolare e specifica nella
visione d'insieme, e fondamentali sono quei temi che legano queste diverse
personalità, uno tra tutti la denuncia della questione femminile.
Non solo le scrittrici così dette impegnate si occupano di queste
riflessioni, bensì quasi tutte le donne che scrivono offrono modelli
di donne, sicuramente più realistici rispetto a quelli della letteratura
maschile. Le protagoniste degli scritti femminili non hanno caratteristiche
stereotipate, tratti tipici, come l'eroina e la donna fatale, ma sono
divenute figure consapevoli del proprio sesso, della propria condizione
e del loro ruolo nella storia. Queste nuove femmine sono desunte
dalla realtà, da situazioni concrete ed hanno un insito intento
di denuncia.
Le semplici protagoniste di questa letteratura, proprio grazie ai loro
tratti comuni, riscuotono tra il pubblico un grande successo dovuto ad
una sorta di complicità ed alle affinità di pensiero con
le stesse lettrici. Ovviamente questi personaggi non solo soltanto le
protagoniste delle autobiografie, ma più in generale tutte le figure
femminili nei romanzi come nelle novelle, nei diari come nei racconti.
Questa dichiarata posizione di denuncia dove la donna è rappresentata
realisticamente deve essere inserita nel più ampio dibattito sulla
questione femminile di fine secolo che si occupa della donna, delle sue
esigenze, della sua discriminazione.
I temi che mostrano la difficile condizione della donna, affrontati dalle
donne scrittrici tra Ottocento e Novecento, spaziano dalla monacazione
forzata al divorzio, dalla solitudine alla maternità e corrispondono
a posizioni ideologiche ben precise.
Senza generalizzare troppo, ricordando che
anche nella scrittura femminile esistono dei generi ben precisi come il
romanzo rosa, il romanzo sentimentale, la poesia ed altri, è riconoscibile
anche uno "stile della scrittura femminile"
con caratteristiche ben precise. Potremo parlare quindi di stile individuale
per ogni scrittrice, ma con caratteri universali, come vivacità
esteriore, originalità, forza espressiva, mostrate attraverso un
vero e proprio "linguaggio femminile".
Le scrittrici per riuscire ad esprimere tutto il loro mondo sono costrette
ad utilizzare il linguaggio della tradizione, la lingua codificata dal
maschio, non riconoscendovi cercano di adattarla alle proprie esigenze
dando attenzione alle singole parole, creando neologismi, caricandola
di espressività.
La condizione storica, sociale e soprattutto biologica, una condizione
sessuale caratterizzata in primo luogo dalla maternità, permette
alla donna di incentrare sul corpo le proprie esperienze. La scrittrice
prova ad esprimere sensazioni fisiche legando la scrittura al corpo che
entra nel linguaggio delle donne non solo come tema, ma anche come percezione:
la lingua utilizzata non si limita ad esprimere idee, ma evoca gesti,
emozioni, il linguaggio stesso della fisicità. Le donne parlano
di emozioni e di sentimenti attraverso il linguaggio del corpo: l'arrossire,
il comparire di un sorriso sono la corrispondenza tra il dentro ed fuori,
tra emozioni e apparenza.
La lingua femminile, inoltre, risente molto del livello culturale delle
stesse scrittrici, è più legata all'oralità ed alla
contingenza rispetto alla tradizione letteraria, per questo, nelle prose
scritte da donne incombe il dialogo e, a volte, un linguaggio dialettale.
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