Letteratura e... malattia
Da antico simbolo di corruzione morale
a sublimazione del malessere moderno
Nella categoria: HOME | Letteratura e... altro
• Intro
• Anticamente...
• Modernità del tema
• Qualche autore
La malattia è un tema così diffuso in letteratura che se ne può parlare come di un vero e proprio topos letterario. Esso può essere presente in vari modi in un testo: può essere malattia di alcuni personaggi o malattia di un'intera collettività, può essere malattia corporale o morale, può avere un valore proprio, diciamo "casuale", o, più spesso, un valore simbolico.
In passato, la malattia era vissuta dagli uomini come una
punizione inflitta dalle divinità.
La punizione poteva investire un singolo individuo, reo di qualche terribile
colpa verso altri individui o, più spesso, di avere infranto tabù
inviolabili. Non soltanto le malattie, ma anche le deformità fisiche
(la gobba, il rachitismo, ecc.) vengono collegate e attribuite a "deformità"
morali dell'individuo. È per questo motivo che in quasi tutte le
società antiche o primitive i gobbi e i deformi rappresentano un
elemento disturbatore e pauroso, come se, essendo perseguitati dalle stesse
divinità, non potessero far parte della comunità come tutti
gli altri.
Talvolta la punizione è collettiva, di massa. In questo caso un'intera
città o un'intera popolazione può subire la collera degli
dei. Tra gli esempi più lampanti a questo riguardo abbiamo le numerose
punizioni divine raccontate nell'Antico Testamento: intere città
distrutte da Dio perché colpevoli di offendere la morale (Sodoma
e Gomorra) oppure popolazioni annientate da calamità naturali o
malattie (gli Egiziani di Mosè).
Le malattie più diffuse, nella realtà come nell'immaginario
letterario, erano la lebbra, il vaiolo, la sifilide: non a caso malattie
che sfigurano fisicamente e che erano considerate come la conseguenza
evidente di una deformazione morale.
In epoca moderna il tema della malattia diventa ancora
più significativo. Nel XIX secolo e durante i primi decenni del
XX secolo, è soprattutto la tubercolosi che si carica di significati
metaforici in letteratura. Questo perché è una malattia
di cui si scoprì la causa solo molto tardi: una malattia, quindi,
facilmente collegabile ad un significato secondo. A fianco della tubercolosi
si trovano, più tardi, le malattie mentali e il cancro; recentemente
anche l'AIDS.
In letteratura la malattia, la nevrosi, ecc., vengono trasfigurati da
un processo di sublimazione: gli aspetti più umilianti,
più ripugnanti di questi mali sono ignorati, mentre si evidenzia
il loro valore sintomatico col quale si manifesta la grandezza d'animo.
In breve: la malattia sta alla salute come l'artista, l'anima nobile sta
all'uomo mediocre, al borghese.
La malattia prende dunque la forma di un rifiuto dell'ordine, dell'autorità;
di un'evasione dall'organizzazione perversa dei rapporti socio-economici:
diventa sintomo di un malessere, di una mancata integrazione
dell'individuo nella società.
Sono molti gli autori moderni legati al tema della malattia. Ne diamo qui di seguito una breve lista:
Nei Promessi sposi vi sono tre capitoli dedicati
alla peste del 1600. Qui, la malattia che distrugge l'ordine e la vita
dell'intera città di Milano è metafora dell'irrazionalità,
del guazzabuglio, del cattivo governo.
«Del pari con la perversità, crebbe la pazzia: tutti gli
errori già dominanti più o meno, presero dallo sbalordimento,
e dall'agitazione delle menti, una forza straordinaria...» (cap.
32)
«Il buon senso c'era, ma se ne stava nascosto, per paura del senso
comune» (cap. 32)
E' sopratutto nel romanzo La
Montagna incantata che si svolge il tema della malattia. Qui,
essa diventa un elemento che separa dal mondo della produttività,
del lavoro, della guerra, e che permette una riflessione filosofico-esistenziale
sulla condizione umana e la maturazione dell'individuo.
«La malattia è la forma impudica
della vita. E la vita a sua volta? È forse soltanto una malattia
infettiva della materia» (cap. 5)
«La malattia ti dà la libertà. Essa ti rende... ecco,
ora mi sovviene la parola che non ho mai usata! Ti rende geniale»
(cap. 5)
Tema importante sopratutto al livello biografico: Kafka annota continuamente riflessioni sul legame tra la propria malattia (la tubercolosi) e il suo rapporto difficile con il padre e la fidanzata. In questo caso, la malattia è espressamente interpretata come la conseguenza e il simbolo delle condizioni interiori: sensazione di fallimento generale e desiderio di sentirsi integrato in famiglia e accettato dall'autorità paterna. Questi due elementi si ritrovano come costanti in tutta la sua produzione letteraria, dal Processo al Castello, dalla Metamorfosi alle novelle.
Oltre alla tisi, malattia frequente e simbolo
di una personalità diversa da quella del borghese,
in Pirandello è importante anche il tema della follia,
sviluppato sia nei romanzi che nelle novelle più sperimentali.
L'uomo in bilico tra il razionale e l'irrazionale, l'oggettività
del reale contro la soggettività del ricordo e del sogno, l'integrità
del mondo oggettuale contro lo spezzettamento dell'io sono tra
gli aspetti pirandelliani più moderni che indicano il
disagio dell'uomo razionale di fronte allo sfaccettamento e all'insicurezza
di base della società moderna.
«Da quale remota lontananza i miei occhi,
quelli che mi par d'avere avuti da bambino, guardano ora, sbarrati dal
terrore, senza potersene persuadere, questo viso di vecchio? Io, già
vecchio? Così subito? E com'è possibile?» (Una
giornata)
«E gli altri? Gli altri non sono mica dentro di me. Per gli altri
che guardano da fuori, le mie idee, i miei sentimenti hanno un naso. Il
mio naso. E hanno un paio d'occhi, i miei occhi, ch'io non vedo e ch'essi
vedono. Che relazione c'è tra le mie idee e il mio naso?»
(Uno, nessuno e centomila)
Più che di vera e propria malattia si tratta qui di senilità o inettitudine generale. I personaggi di Svevo sono diversi dagli altri perché individui sostanzialmente fallimentari. Nella Coscienza di Zeno, l'opposizione tra malattia e salute si basa sull'opposizione tra l'inettitudine e la sicurezza, dove le persone "in salute" sono quelle sicure di sé, forti, decise e fiduciose nella vita. Ma siccome l'attività e la sicurezza nel mondo non sono mai duraturi, la malattia appare alla fine come l'unico vero stato dell'intera società.
«Io sto analizzando la salute [di Augusta], ma non ci riesco perché m'accorgo che, analizzandola, la converto in malattia. E scrivendone, comincio a dubitare se quella salute non avesse avuto bisogno di cura o d'istruzione per guarire» (cap. 6)
La malattia in Proust è, la maggior parte delle volte, causa di un isolamento dal resto dell'umanità, e quindi della vita normale della produttività. Questo tema si svolge fin dall'inizio della Recherche attraverso la figura della zia del protagonista, Léonie, la quale sta sempre rinchiusa nella propria camera.
La malattia sartriana è La Nausea dell'uomo moderno, il quale scopre la "contingenza" dell'esistenza, cioè la sua ingiustificabilità, la sua irrazionalità. È nausea di fronte alla gratuità della vita, all'inutilità dell'uomo, alle modalità esistenziali fasulle della società borghese, retta sul lavoro, la produttività, il ricordo, la famiglia, il potere e i beni materiali (le proprietà).
«L'essenziale è la contingenza. Voglio dire che, per definizione, l'esistenza non è necessità. Esistere è esserci, molto semplicemente [...]. ...ecco la nausea; ecco quello che i Salauds [i borghesi] - quelli del Coteau Vert e gli altri - tentano di nascondere con la loro idea di diritto. Ma che povera bugia: nessuno ha alcun diritto; essi sono interamente gratuiti, come gli altri uomini, non riescono a non sentirsi di troppo»
La Peste di Camus è un esempio moderno di ripresa di un tema antico, quello della malattia collettiva che investe un'intera città. In questo romanzo la malattia è metafora della guerra (guerre mondiali e guerre civili che devastano il mondo intero nella prima metà del Novecento), con tutto ciò che provoca: isolamento, allontanamento dai cari, problema della scelta tra impegno sociale e necessità individuali, tema della morte e dell'esilio.
«Alcuni di loro, come Rambert, arrivavano perfino a credere, lo si vedeva, che agivano ancora da uomini liberi, che potevano ancora scegliere. Ma, di fatto, si poteva dire a quel punto, in pieno agosto, che la peste aveva ricoperto tutto. Allora non c'erano più destini individuali, ma una storia collettiva che era la peste e dei sentimenti condivisi da tutti» (inizio parte III)
Vuoi pubblicare un articolo o una recensione?
Scopri come collaborare con noi
Rosario Frasca
VAI AL BLOG
Rosella Rapa
VAI AL BLOG
Davide Morelli
VAI AL BLOG
Elio Ria
VAI AL BLOG
Anna Stella Scerbo
VAI AL BLOG
Anna Lattanzi
VAI AL BLOG